s’io m’intuassi, come tu t’inmii”
Versi tratti dal Canto IX, Paradiso, della Divina Commedia.
L’immedesimazione rappresentata da Dante in questi mirabili versi è forse una delle prime citazioni che potrebbero avvicinarsi al fenomeno dell’empatia. Ancor prima l’evangelista Giovanni (Gv 14,11) cita Gesù che rivolgendosi agli Apostoli dice “Io sono nel Padre e il Padre è in me" a sottolineare la medesima natura divina del Figlio e del Padre. Al di là dei contenuti teologici qui è rappresentato un meccanismo di identificazione che, come insegna Edith Stein, nulla ha che fare col fenomeno empatico. L’empatia presuppone infatti l’alterità, cioè la consapevolezza dell’Altro, il diverso da me.
In un processo identificatorio l’empatia non avrebbe senso di esistere. Le citazioni precedenti non devono equivocare circa l’origine dell’empatia. Non deriva da una interpretazione del discorso dell’Altro. E’ pre-verbale e pre-rappresentazionale. Neppure è un processo razionale come suggerisce Karl Jaspers, tant’è che anche i neonati nascono con una capacità empatica contrariamente a quanto riteneva Sigmund Freud che li considerava degli egocentrici in preda al solo istinto. Se la capacità empatica si struttura sin dalla nascita ciò è in linea con quanto sosteneva Heinz Kohut il quale considerava l’empatia un bisogno fondamentale dell’essere umano. Le neuroscienze negli ultimi anni hanno indagato il fenomeno dell’empatia portando alla scoperta dei neuroni specchio. Le tecniche di imaging hanno dimostrato sperimentalmente l’esistenza di tale tipologia neuronale anche se ovviamente siamo ancora lontani dalla dimostrazione di una biologia funzionale dell’empatia. Alcuni studi metterebbero in evidenza una ridotta attività dei neuroni specchio dell’area prefrontale nell’autismo e nella sindrome di Asperger. Se ciò fosse vero spiegherebbe la difficile contattabilità di questi pazienti. Tornando alla pratica è certo che nel counseling la relazione empatica è centrale nel percorso di aiuto. Per dirla con Kohut l’empatia è di per sé terapeutica perché aggrega il sé impedendo la disgregazione psicotica. E’ noto che molte persone violente sono poco empatiche e considerato che violenti non si nasce ma si diventa, è intuibile quanto la famiglia giochi un ruolo determinante nello strutturare la capacità empatica sin dalla nascita. In tal senso si aprono ovviamente delle prospettive preventive che con tutta probabilità andrebbero ad incidere maggiormente rispetto all’attuale tendenza generale alla “riparazione”. Come affinare la propria capacità empatica è difficile a dirsi ma credo che un primo passo debba nascere da ciò che diceva Don Gnocchi: “Bisogna concentrare l’attenzione dello spirito, non lasciarsi assorbire dalla vita di superficie, stabilire in ogni giornata una zona di silenzio, affinare la sensibilità dell’anima.”
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